A un anno dalla proposta dell’assessore alla toponomastica e vicesindaco di Trieste, Paris Lippi, arriva lo scorso 28 novembre il «no» della Deputazione di storia patria alla volontà del Comune di Trieste di intitolare una via a Mario Granbassi giornalista triestino.
L’intitolazione di una strada significa porre un nome da esempio alla collettività, soprattutto per le giovani generazioni. Ma chi era Mario Granbassi ?
Lo ha spiegato più volte lo storico triestino Claudio Venza, docente di Storia della Spagna all’Università di Trieste, che ha ricordato come il giornalista, prima di andare come volontario a combattere in Spagna a fianco delle truppe franchiste che si erano ribellate alla Repubblica, «negli anni trenta giocasse in Italia un ruolo importante all’interno della propaganda fascista: giovanissimo collaboratore del quotidiano Il Piccolo, aveva inventato ‘Mastro Remo’, un programma radiofonico per ragazzi e una rivista a colori diffusa su tutto il territorio nazionale con lo scopo di coinvolgere l’ingenuo intelletto dei bambini nella dittatura fascista. Dal suo diario, è evidente come Granbassi abbia rifiutato la penna per prendere il fucile. Con il rischio della bella morte, voleva combattere in prima linea».
Davvero chiare le parole che Granbassi scrisse nel suo diario, quand’era in Spagna a fianco dei franchisti: «La sento tanto profondamente come una guerra fascista, questa che sono venuto a fare, sacrificando i miei affetti più cari e abbandonando il mio posto di lavoro». E ancora, in «Mastro Remo»: «Ogni volta che mi vesto da Balilla con la camicia nera, la cravatta e il fez mi sento di essere già un soldato». E poi: «E l’amo [il Duce, ndr] ancora più di tutto perché la mamma mia, che è grassa e sempre pensava come dimagrire, poi l’altro giorno ha letto nel giornale il discorso che il Duce ha fatto ai medici, che la donna grassa non è brutta, ma è una buona cosa per la razza, così ora la mamma mangia ed è tranquilla».
La scalinata che la Giunta comunale vorrebbe fosse dedicata a Mario Granbassi attualmente è intitolata a Giuseppe Revere. Una personalità già cancellata nel 1939 in quanto ‘non ariana’. Fu una delle vittime delle leggi razziali del 1938 e della politica antisemita del regime fascista. Ora Revere, pur essendo un eroe risorgimentale, verrebbe mutilato o gli resterebbero pochi metri della via, più piccola della scalinata.
Illuminate le motivazioni della Deputazione di storia patria, l’ente che in ogni regione ha il compito di esprimere un parere obbligatorio ma non vincolante in materia di toponomastica. «Abbiamo detto di no – ha spiegato Maria Grazia Tatò, presidente della Deputazione, – Perché al di là di ogni colore politico si ritiene che scelte così provocatorie non facciano bene a nessuno, che siano motivi di tensioni sociali di cui non ce n’è bisogno».
Visto che il parere della Deputazione di storia patria non è vincolante, la palla passa ai Capigruppo del Consiglio comunale e la decisione ultima spetta al Prefetto.
Fonte: da un articolo di Elena Placitelli pubblicato il 5 dicembre 2008 su CartaQui Estnord